RETTIFICHE SUI ROGITI: PER LA CORTE BASTA LO SCARTO TRA PREZZO E MUTUO

14 aprile 2020

     La Corte di cassazione non ha una po­sizione univoca sulla possibilità di sindacare la congruità del corrispetti­vo pattuito in caso di cessione di im­mobili. Si pongono, in particolare, le questioni concernenti la rilevanza dello scostamento del prezzo dichia­rato dall'importo del mutuo ottenuto dall'acquirente e da quello del con­tratto preliminare.

     L'articolo 5, comma 3, del Dlgs 147/2015 ha stabilito che le disposi­zioni relative sulle plusvalenze deri­vanti dalle cessioni di immobili si in­terpretano nel senso che l'esistenza di un maggior corrispettivo non è presu­mibile soltanto sulla base del valore di mercato. Perciò, il sindacato di anti e­conomicità dell'operazione può esse­re effettuato - come già affermato nella circolarei8/E/2010 - soltanto in presenza di ulteriori elementi proba­tori, quali: le tariffe di vendita pubbli­cizzate; le differenze trai prezzi prati­cati per analoghe tipologie di immo­bili; l'insufficienza del corrispettivo a garantire un utile adeguato; le dichia­razioni degli acquirenti.

     Resta, però, controversa la que­stione se possa risultare sufficiente a fondare l'accertamento la circostanza che gli importi dei finanziamenti otte­nuti dagli acquirenti risultino supe­riori ai prezzi di acquisto risultanti dai contratti stipulati.

     In alcuni casi è stato ritenuto che i mutui non avrebbero valore probato­rio «in quanto le banche prima della crisi erano di manica larga» (ordi­nanza 26286/2017) e perché il loro valore «tiene conto di una serie di al­tri elementi come, per es. le difficoltà economiche dell'acquirente» (sen­tenza 5190/2017). È un principio con­divisibile, perché l'importo del mu­tuo può essere influenzato, ad esem­pio, dalle garanzie offerte alla banca, dall'esigenza di sostenere ulteriori spese per la ristrutturazione del fab­bricato e dal fatto che l'immobile sia in costruzione (lo studio 152-2006/T del Notariato). Negli ultimi due anni quest'ultimo indirizzo è stato, però, disatteso in numerose pronunce (si veda la scheda) riguardanti accerta­menti analitico-induttivi fondati sul­lo scostamento tra il prezzo dell'im­mobile e l'importo del mutuo, nelle quali è stato affermato che «anche un solo fatto - qualora presenti i requisi­ti della gravità e precisione - può ... costituire ... la fonte della presunzio­ne (così la ordinanza 7820/2019).

     La Corte ha chiarito, nell'ordinan­za 2155/2019, che, ai fini sia civilistici che tributari, non è necessario che gli elementi assunti a fonte di presun­zione siano plurimi, benché l'articolo 2729 del Codice civile e l'articolo 39 del Dpr 600/1973 si esprimano al plu­rale, pur ribadendo che altrettanto non può dirsi dello scostamento dai valori Orni, trattandosi «con evidenza di valori normali di mercato desunti da uno studio statistico su una plura­lità di atti negoziai registrati, ... po­tendo intervenire una pluralità di componenti peculiari nella condizio­ne dell'immobile».

     Quest'ultimo orientamento risulta ormai prevalente e si ritiene che i con­tribuenti che si trovino in situazioni "non patologiche" debbano porre particolare attenzione a indicare, nel contratto di compravendita e/o nel­l'atto di finanziamento, che il mutuo contratto dal cessionario per l'acqui­sto dell'immobile è solo in parte desti­nato al finanziamento dello stesso, specificando i motivi che giustificano la differenza tra il prezzo e l'importo ricevuto in prestito nonché le garan­zie fornite per il suo ottenimento.

     La stessa Cassazione ha affermato, nella ordinanza 12269/2018, che va valutato «se anche l'unico elemento presuntivo soddisfi con sufficienza il supporto probatorio alla rettifica del corrispettivo» e che il contribuente può fornire la prova contraria, dimo­strando, ad esempio, «che il mutuo di maggior importo rispetto al prezzo d'acquisto dell'immobile è giustifica­to dal finanziamento anche della sua ristrutturazione».

(Dal il Sole 24 Ore del 07/10/2019)

 

 

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