LA DONAZIONE DI QUOTE CON PICCOLA RENDITA NON E’ UN “VITALIZIO”

29 aprile 2020

Messia Urbani Neri

   L'ufficio non può riqualificare un contratto di donazione modale in costituzione di rendita vitalizia, senza verificare in concreto l'effet­tiva aleatorietà del rapporto. L'at­to, infatti, ai fini dell'imposta di re­gistro va interpretato sulla base della volontà reale delle parti espressa nel negozio giuridico soggetto a registrazione, poiché si tratta di un tributo sulla "ricchez­za" espressa dall'atto. A dirlo è la Ctp Brescia 690/2/2019 (presiden­te e relatore Vitali).

La sentenza riconosce come atto di donazione modale il contratto con cui una madre 87enne aveva donato al proprio figlio quote societarie per 488.941,24 euro, ponendo a carico del figlio/beneficiario l'onere di cor­rispondere alla madre/donante una rendita vitalizia del valore contrat­tuale di 14.400 euro annuali. In par­ticolare l'ufficio, prendendo in con­siderazione il valore contabile delle quote sociali donate e della rendita vitalizia, come indicato nel rogito e senza procedere a una loro capitaliz­zazione, aveva negato il carattere li­berale proprio della donazione ri­qualificando l'atto come costituzio­ne di rendita vitalizia, soggetta al versamento dell'imposta di registro in misura proporzionale.

Così operando, tuttavia, l'am­ministrazione avrebbe messo in relazione il valore della rendita, po­sta quale onere a carico del donata­rio, come emergente dall'atto di donazione, con quello delle quote societarie trasferite, omettendo di procedere a una capitalizzazione del vitalizio per rendere il suo valo­re attuale e, dunque, raffrontarlo con il valore del cespite donato, così valutando il concreto interesse perseguito dalle parti.

Il collegio ha respinto la tesi del­l'amministrazione, in base ai se­guenti elementi:

  • la mancanza di aleatorietà del­l'atto soggetto a registrazione, che è invece propria del contratto costi­tutivo di rendita vitalizia;

  • l'elevata età della madre donante ( 87 anni);

  • l'assenza di sproporzione tra il valore delle prestazioni dovute dal figlio/beneficiario, attualizzate nel loro ammontare, rispetto alle quote societarie donate.

     In base all'articolo 20 del Dpr 131/86 l'imposta di registro viene applicata «secondo la intrinseca na­tura e gli effetti giuridici dell'atto presentato alla registrazione» che impongono di verificare l'onere po­sto a carico del beneficiario della do­nazione e la sua gravosità in termini economici rispetto al valore del ce­spite patrimoniale donato. In tal senso , quando il beneficiario è prossimo alla morte, per età o ma­lattia, e l'entità della rendita è infe­riore al frutto o agli utili ricavabili dal cespite patrimoniale trasferito sono escluse l'aleatorietà e la costi­tuzione di una rendita vitalizia (Cas­sazione 1467/18 e 20645/18).

     Nel caso in esame il valore della rendita, come capitalizzata in consi­derazione dell'età del beneficiario (87enne), era inferiore alle quote do­nate. Pertanto, il negozio giuridico non poteva qualificarsi come rendi­tavitalizia, ma come donazione mo­dale. Nel caso di specie, la rendita è solo un modo per limitare o ridurre il valore della liberalità posta in esse­re, non potendosi qualificare come corrispettivo per la cessione delle quote, capace di imprimere al con­tratto un carattere di onerosità.

 

(Dal il Sole 24 Ore del 09/03/2020)

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